L’ho scoperto mentre in pausa pranzo scorrevo annoiato foto, citazioni, condivisioni e altre notizie di poca importanza.
L’ho scoperto in modo semplice e quasi banale, guardando sul display del telefono i tuoi occhi sorridenti fissare un piccolo anello luccicante.
E quindi ti sposi.
Non fraintendermi. Non sono geloso, triste o arrabbiato. Beh, in realtà non so bene nemmeno io ciò che sto provando, ed è forse per questo che scrivo: per sfogarmi o per capire… o entrambe le cose.
Ti stai per sposare e lo vengo a sapere da una foto su Facebook, mi viene da sorridere perché anche in questo caso sono spesso l’ultimo a sapere le cose.
Meglio così però, se me l’avessero detto di persona non so come avrei reagito, forse avrei balbettato qualcosa, cercando di gestire l’orgoglio o del palese finto disinteresse.
Già, molto meglio così.
Non voglio essere banale ma lo penso veramente, vi auguro tutto il bene possibile e lo dico col cuore in mano.
Perché allora mi sento questo nodo allo stomaco?
Me lo sto chiedendo e ancora non capisco bene.
Forse vorrei essere io, con te in quella foto?
No, lo sappiamo entrambi. Ci siamo lasciati, ripresi, lasciati e ancora ripresi, spaccandoci più volte le gambe e rialzandoci a fatica, per infine lasciarci scivolare in una lenta inedia fatta d’abitudine, paura e freddo rancore.
No, lasciarmi è stata la soluzione migliore e l’ho capito dopo troppo tempo.
Magari ancora m’innervosisce vederti felice con un’altra persona? Nemmeno questo alla fine, anche se è stata molto dura all’inizio, lo sai anche te purtroppo.
Ho provato rabbia, frustrazione, delusione, odio. Sì, anche quello e me ne vergogno, ma ti ho odiato.
Non potevo farci nulla, te eri ancora mia e non accettavo che qualcun altro riuscisse ad offuscare ciò che ero stato, che potesse toccarti, baciarti, respirare la tua pelle. M’illudevo che fossi solo confusa, che in realtà pensavi a me; non poteva essere altrimenti nella mia testa: maledette false speranze che distorcevano qualsiasi realtà.
Poi quei due giorni. Ritrovarsi a distanza di quattro anni dall’ultima volta, ognuno con il passato ormai inscatolato ed entrambi con la mente occupata da un’altra persona. Quei giorni sono stati una tempesta, ti ho scritto anche questo.
É stato destabilizzante rincontrarci, dopo tutto quel tempo, con la stessa complicità e la stessa energia di prima. Improvvisamente non c’eravamo più noi, eravamo come dissolti. Davanti ai nostri occhi vedevamo due giovani che si scontravano, che si scoprivano per la prima volta. Ed ecco che era subito Londra, i viaggi improvvisati, le lunghe ore di treno per vederci, i cinque anni di università, l’appartamento alla Specola; potrei andare avanti per ore.
In quei due giorni abbiamo come camminato su un tenue filo bianco. Bastava un attimo, un singolo gesto: un centimetro di pelle toccato con più decisione o uno scambio di sguardi durato un secondo più del voluto; era sufficiente questo per ritornare di nuovo noi e bruciare nel fuoco della nostra carne. Ma non è successo.
Ti ho scritto questo e altro su un foglio poco prima di andarmene, lasciandolo sotto la porta della tua camera mentre ancora dormivi. Non ti ho mai chiesto se l’avevi letto e te non mi hai più cercato. Da quella notte ognuno ha seguito la propria strada, senza più incroci.
Sai, sono ritornato a Londra quest’autunno, tredici anni dall’ultima volta. Ho ritrovato a fatica il Walkabout, dove ci eravamo conosciuti la sera del mio compleanno. Il locale non c’è più, al suo posto c’è un ristorante self-service; non sono nemmeno entrato.
Il The Volunteer è sempre lì, dove spesso ci aspettavamo quando uno di noi finiva per primo di lavorare.
Ho poi passeggiato per Regent’s Park, dove andavamo a mangiare in pausa pranzo nelle poche giornate di sole.
Infine ho rivisto il nostro ultimo appartamento, a Plato Road, Clapham, l’ho ritrovato facilmente.
È stato un bel tuffo al cuore.
Arrivato a questo punto, devo ammettere che penso di avere ormai inquadrato la situazione, il motivo di questo mio scombussolamento.
In tutti questi anni ti ho visto crescere, cambiare, realizzarti; costruirti lentamente un futuro.
Io non ci sono riuscito, a dire il vero neppure ci ho provato tanto.
Nonostante le rughe e la stempiatura, mi sento sempre il solito ragazzino, con tanti sogni ma poca concretezza.
Mi vedo senza un lavoro stabile, abito sotto i miei genitori ed è come se non fossi mai andato via da casa, frequento persone molto più piccole di me, in quanto la maggior parte dei miei amici storici convive o ha figli; ma soprattutto mi ritrovo a sfruttare legami e relazioni per poi uscirne malamente, nascondendo le mie paure e le mie responsabilità dietro l’attesa di un qualcosa che nemmeno io capisco a fondo.
Ecco, mi rendo conto che ti invidio.
Ti sto invidiando perché rivedo i miei errori nel tuo successo. Guardando la tua foto mi rendo conto che mi sono bloccato, che sono rimasto indietro e che dovrei smettere di avere la testa rivolta al passato.
Ci penso spesso, lo idealizzo e mi crogiolo nella nostalgia dei se e dei ma, non rendendomi conto che nel frattempo passano gli istanti e i momenti, allontanandomi sempre più dai trent’anni.
Detto questo non voglio essere egoista e parlare solo di me.
Mia vecchia amica, anche se probabilmente non leggerai queste righe, sono davvero contento per la tua nuova avventura, anzi, per la vostra avventura. Ci sono state le crisi e a volte ne siete usciti anche ammaccati, eppure le avete sempre affrontate assieme, uno accanto all’altro.
Ecco, questo a mio avviso vale più di tante promesse o discorsi.
Vi auguro di cercarvi come quando eravamo noi giovani, con la leggerezza e l’energia dei vent’anni, ma accanto a questo spero che possiate costruire un rapporto solido, con maturità e comprensione.
Sono sicuro che andrà bene, te lo meriti.
Michele
itrentenni@gmail.com
itrentenni
Riflessioni, propositi, affanni, sogni, ricordi, speranze, cicatrici, obiettivi, preoccupazioni, desideri. Parole sparse, pensieri e riflessioni. Voglia di raccontarsi o semplicemente di sentirsi come a casa.
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Lara
Mi sembra di leggere la mia storia. L’amore folle a inseguirsi tra Milano e Londra, la vita a mille, da zero a cento in un secondo, e poi da cento a zero… la fine improvvisa che lascia sgomenti e con l’amaro in bocca. La lotta per andare avanti e ritrovarsi in realtà fermi perché risucchiati in vortici inutili, che poi ti riportano al punto di partenza. Clapham, Streatham, Brixton, Regents park, Hyde park, Camden, la gastronomia italo polacca. Da soli hanno un sapore diverso, forse senza la vertigine di quel sentimento assoluto, a volte un ricordo morde il fianco all’improvviso, ma poi lo allontano con la manina. Un respiro, scrollo la testa, sorrido. E Bloody London mi inghiotte, chiede tutta la mia attenzione e non mi permette di voltarmi indietro.