Ieri ho firmato il primo contratto a tempo indeterminato della mia vita. All’età di 31 anni, (e mezzo).
Abbiamo pubblicato una foto su Facebook all’atto della firma e si è scatenato il putiferio. Sono stata letteralmente inondata dai vostri messaggi di affetto, di felicità, di auguri e congratulazioni. Da voi, che di fatto siete degli sconosciuti, ma che in realtà fate parte della nostra grande famiglia de I Trentenni, ed è stato come se vi conoscessi ad uno ad uno.
Noi trentenni siamo così. Ci entusiasmiamo per i successi reciproci, ci tendiamo la mano se abbiamo bisogno di aiuto, siamo solidali nei momenti di difficoltà, ci comprendiamo a vicenda, perché infondo ideologicamente siamo anche noi dei profughi ammassati su un grosso barcone nella speranza di raggiungere un porto sicuro.
Mi avete chiesto di scrivere un post per raccontarvi le mie emozioni davanti ad un evento così importante. Mi avete domandato che sensazione avessi provato al momento della tanto attesa firma.
La risposta è: nessuna. Assolutamente nessuna.
E lo sapete perché?
Perché io questo contratto me lo merito. Non devo ringraziare nessuno, non mi è stata fatta alcuna “gentile concessione”, non ho avuto una botta di fortuna, non l’ho trovato grattando sulla patina grigia di un “gratta e vinci” comprato all’autogrill.
Vedete trentenni quello che di più frustrante ci ha “regalato” la crisi è la sensazione che quello che ci è dovuto ci venga concesso come una “grazia”. Gli altri ti guardano sbalorditi e ti indicano come un “miracolato”, come un “benedetto da Dio”, come un’anima di purgatorio, a lungo vagante nel limbo e trapassata per cause soprannaturali in Paradiso. Quando invece sei semplicemente un lavoratore che ha portato avanti con impegno e dignità il proprio compito, facendo il dovuto e anche il non dovuto, lo sconveniente, il facoltativo e a volte anche l’inopportuno.
Mio padre mi racconta sempre che quando si laureò in Giurisprudenza a Messina fece subito un colloquio presso una banca e venne assunto. Nel novembre del 1971 si trasferì a Palermo per iniziare il suo nuovo lavoro. In quegli anni la Cassa di Risparmio assumeva 100/150 persone al mese (sì avete letto bene!).
Contratto a tempo indeterminato, 15 mensilità, ottimo stipendio, guadagnava 200 mila lire al mese, poteva permettersi di vivere da solo in appartamento, il cui affitto, spese condominiali comprese, gli costava 45 mila lire.
Al suo primo lavoro era un uomo indipendente, autonomo e autosufficiente. Mi diceva che al porto di Palermo attraccava sempre la Caribia, una nave da crociera maestosa. La sera si stava tutti con il naso all’insù, a sbirciare dentro gli oblò e sognare quello che 40 anni fa era un sogno italiano.
Nell’estate del ’72 mio padre salì per la prima volta su una nave da crociera. Il biglietto della Carribia gli costò 70 mila lire.
Sembrano racconti di mondi ultra terreni vero? Eppure era la semplice e pura normalità. Quella che ti permetteva di costruire una famiglia, di non avere paura del futuro, di svolgere il tuo lavoro con passione, di credere nel verbo “crescere”.
Io ieri ho firmato il mio primo contratto “vero”, scritto in COMIC SANS, che a tanti di voi ha fatto ridere, perché l’ultima cosa che mi sono dimenticata di dirvi è che questo contratto me l’ha fatto firmare un trentenne, che un anno e mezzo fa ha creduto in me e mi ha detto “se cresciamo noi, cresci anche tu, siamo giovani, siamo un team, cresciamo insieme!”
A tutti voi trentenni il mio più grande in bocca al lupo per il vostro futuro, che non abbia per forza la forma di contratto a tempo indeterminato, ma di sogni realizzati, quelli sì, che vi permettano di staccare il primo biglietto per la vostra personale “Caribia”.
Stefania de I Trentenni
Stefania Rubino
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Daniela
Congratulazioni per questo grande traguardo! Anche io come te quando ho firmato il mio contratto a tempo indeterminato non ho provato quel turbine di emozioni che mi aspettavo e che soprattutto si attendeva la mia capa (ora ex-capa).
Proprio perchè anche io sentivo di essermelo meritato, con il classico trittico sangue-lacrime-sudore. Ora sono una freelance, ma questa è un’altra (bella) storia 🙂
Sono incoerente se ti segnalo un mio post sul perchè invece secondo me a volte è meglio perderlo un lavoro anziché trovarlo?
Lo trovi qui: http://www.danieladelli.com/lavoro-quando-perche-mollare/
Un grande abbraccio,
Daniela
itrentenni
Ciao Daniela!
Grazie per il tuo messaggio, sono felice di non essere stata l’unica a NON provare emozioni 🙂
Grazie anche per la tua segnalazione, corro subito a leggere il tuo post. Se vuoi scriverci e raccontarci da te siamo qui 🙂
Un abbraccio
Stefania
Lucia
Mi ritrovo in tutto e per tutto quando dici “Mi avete domandato che sensazione avessi provato al momento della tanto attesa firma. La risposta è: nessuna. Assolutamente nessuna.”
Io ho firmato il mio contratto a tempo indeterminato a 29 anni, dopo 3 anni di internale e di prove (abbastanza pesanti psicologicamente) giornaliere, e ,al momento in cui l’ho comunicato ai miei amici, una di queste mi ha risposto:” e beh, sei stata fortunata!” Fortunata io? che prima di avere questo lavoro ( ripeto, molto spesso pesante e frustante) , ho inviato 1.200 cv, (e non so quanti form ho compilato on line), io che facevo colloqui per qualunque posizione, io che sono andata via di casa (ben 1200 km) per trovare lavoro, io che mi sono inventata (infatti faccio tutt’altro rispetto al mio titolo di studio) io sarei fortunata? no, non lo accetto.
La stessa fortunata che, dopo essersi fatta il culo per 4 anni, è diventata team leader per poi lasciare dopo 2 mesi e andarsene da un’altra parte, rischiando, nuovamente.
Se questa si chiama fortuna, allora si posso essere fortunata. E tu Stronza.