Sono nata nel 1986 da papà Lino sindacalista ed ex dj e mamma Rita che del volontariato ha fatto la sua ragione di vita. Erano le 12.00 di un sabato mattina e la canzone prima in classifica negli Stati Uniti era “That’s What Friends Are For” di Dionne Warwick. Mamma e papà avrebbero voluto chiamarmi“Sara” come la canzone di Antonello Venditti. Sono cresciuta con un fratello maggiore protettivo che per ricattarmi, durante le nostre liti, impiccava le mie barbie e le lasciava cadere con una corda in giardino. Ho una cugina, Chiara, che è stata (ed è) la mia (prima) migliore amica. Avevo una “nemica” immaginaria di nome Minina, ballavo la Lambada, cantavo “Attenti al lupo”, adoravo Ruud Gullit e Dylan di Beverly Hills 90210, non avevo paura né del buio, né dei gay e né dell’uomo nero e sognavo di diventare maestra d’asilo o stilista! Gli anni del liceo, il servizio civile, la passione per il giornalismo e il successivo lavoro a Culttime, Viveur e Movida, la meravigliosa esperienza politica, l’organizzazione degli eventi, i vari progetti, i Pugliesi nel Mondo, il trasferimento a Bari, l’anno di disoccupazione, il lavoro come call center, la campagna elettorale di Gianni Mongelli, il Festival del Teatro di Strada e adesso il cinema. Non sono mai riuscita a pianificare nulla nella mia vita, non mi sono mai tirata indietro e non sono mai tornata indietro neanche per prendere la rincorsa (tanto per citare Andrea Pazienza) e non ho mai avuto un’esperienza lavorativa a tempo indeterminato. Ecco, oggi avere trent’anni per me significa: vivere la vita a tempo indeterminato, accettando la precarietà degli eventi e allontanando le relazioni non autentiche e i “rapporti a progetto”. Avere trent’anni per me significa aver compreso il significato profondo di amore. L’amore per la mia terra, per la mia città così piena di contraddizioni, per i miei genitori, per la mia famiglia, per le piccole cose (tipo i pranzi domenicali e il caffè al mattino a L’Alternativa), per le persone che non ci sono più e per quelle che non hanno saputo amare (e che io ho amato senza remore). L’amore per i nuovi inizi, per i nuovi viaggi. Avere trent’anni per me significa mettere al centro della mia vita le relazioni. Avere trent’anni per me significa non accontentarsi, emozionarsi e continuare a sorridere. Avere trent’anni per me significa aver imparato che “chi nasce tondo muore e basta” (o muore stronzo). Avere trent’anni per me significa esprimere gratitudine e riconoscenza verso la mia famiglia e verso chi ha scelto di far parte della mia vita. A voi, a tutti voi dico grazie.
Questo spazio è dedicato alle vostre storie. Riflessioni, propositi, affanni, sogni, ricordi, speranze, cicatrici, obiettivi, preoccupazioni, desideri. Parole sparse, pensieri e riflessioni. Voglia di raccontarsi o semplicemente di sentirsi come a casa. Scriveteci a itrentenni@gmail.com
Il mio personale testamento morale
itrentenniSono nata nel 1986 da papà Lino sindacalista ed ex dj e mamma Rita che del volontariato ha fatto la sua ragione di vita. Erano le 12.00 di un sabato mattina e la canzone prima in classifica negli Stati Uniti era “That’s What Friends Are For” di Dionne Warwick. Mamma e papà avrebbero voluto chiamarmi “Sara” come la canzone di Antonello Venditti. Sono cresciuta con un fratello maggiore protettivo che per ricattarmi, durante le nostre liti, impiccava le mie barbie e le lasciava cadere con una corda in giardino. Ho una cugina, Chiara, che è stata (ed è) la mia (prima) migliore amica. Avevo una “nemica” immaginaria di nome Minina, ballavo la Lambada, cantavo “Attenti al lupo”, adoravo Ruud Gullit e Dylan di Beverly Hills 90210, non avevo paura né del buio, né dei gay e né dell’uomo nero e sognavo di diventare maestra d’asilo o stilista! Gli anni del liceo, il servizio civile, la passione per il giornalismo e il successivo lavoro a Culttime, Viveur e Movida, la meravigliosa esperienza politica, l’organizzazione degli eventi, i vari progetti, i Pugliesi nel Mondo, il trasferimento a Bari, l’anno di disoccupazione, il lavoro come call center, la campagna elettorale di Gianni Mongelli, il Festival del Teatro di Strada e adesso il cinema. Non sono mai riuscita a pianificare nulla nella mia vita, non mi sono mai tirata indietro e non sono mai tornata indietro neanche per prendere la rincorsa (tanto per citare Andrea Pazienza) e non ho mai avuto un’esperienza lavorativa a tempo indeterminato. Ecco, oggi avere trent’anni per me significa: vivere la vita a tempo indeterminato, accettando la precarietà degli eventi e allontanando le relazioni non autentiche e i “rapporti a progetto”. Avere trent’anni per me significa aver compreso il significato profondo di amore. L’amore per la mia terra, per la mia città così piena di contraddizioni, per i miei genitori, per la mia famiglia, per le piccole cose (tipo i pranzi domenicali e il caffè al mattino a L’Alternativa), per le persone che non ci sono più e per quelle che non hanno saputo amare (e che io ho amato senza remore). L’amore per i nuovi inizi, per i nuovi viaggi. Avere trent’anni per me significa mettere al centro della mia vita le relazioni. Avere trent’anni per me significa non accontentarsi, emozionarsi e continuare a sorridere. Avere trent’anni per me significa aver imparato che “chi nasce tondo muore e basta” (o muore stronzo). Avere trent’anni per me significa esprimere gratitudine e riconoscenza verso la mia famiglia e verso chi ha scelto di far parte della mia vita. A voi, a tutti voi dico grazie.
Valentina itrentenni@gmail.com
itrentenni
Riflessioni, propositi, affanni, sogni, ricordi, speranze, cicatrici, obiettivi, preoccupazioni, desideri. Parole sparse, pensieri e riflessioni. Voglia di raccontarsi o semplicemente di sentirsi come a casa.
Scriveteci a itrentenni@gmail.com
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